sabato 22 dicembre 2007

Dibattito su inglese e università

Il Corriere della Sera di venerdì 21 dicembre (articolo a firma di Cristina Taglietti, pag. 55) torna sul tema, già trattato dallo stesso quotidiano, dei corsi universitari italiani impartiti in lingua inglese - per ora solo nelle materie tecnico-scientifiche - e lo fa per registrare l'autorevole reazione di una delle istituzioni storicamente a presidio della lingua italiana: l'Accademia della Crusca.
La notizia è che il presidente dell'Accademia, il linguista Francesco Sabatini, ha inviato ai ministri dell'Istruzione e dell'Università e Ricerca Scientifica una lettera aperta, che verrà diffusa anche a mezzo del semestrale Crusca per voi.
Sintetizzo le principali obiezioni del prof. Sabatini - per come riportate sul quotidiano - alla segnalata tendenza:
  1. La lingua italiana è poco nota agli studenti universitari italiani, specie per quanto riguarda la produzione scritta, gli stessi docenti di italiano non mostrano un'adeguata formazione;
  2. Il ricorso a docenti madrelingua potrebbe creare risultati discutibili nella selezione dei docenti, agevolando le carriere di quanti sappiano fare lezioni in lingua inglese con il rischio di trascurare le specifiche competenze disciplinari, che invece dovrebbero essere il reale banco di prova per salire in cattedra;
  3. Il rischio-emarginazione per fasce di potenziali studenti scoraggiati dall'impiego dell'inglese nella didattica;
  4. La maggior parte dei laureati finisce col lavorare in Italia e dovrà interagire con lavoratori di lingua italiana anche su tematiche tecniche;
  5. Introduzione di un nuovo bilinguismo, simile a quello medievale (compresenza di latino e volgare), dopo un faticoso cammino storico volto alla diffusione della lingua italiana: le fasce popolari sarebbero le più esposte alle conseguenze negative di un simile ritorno al passato.

L'articolo si conclude registrando un parere di segno opposto di un altro autorevole accademico, nonchè accademico della Crusca, a suo agio nella trattazione di simili temi, il prof. Tullio De Mauro. Riporto una sintesi delle sue affermazioni:

  1. Il Content Language Integrated Learning è un eccellente e ampiamente sperimentato strumento per accostarsi ad una nuova lingua;
  2. Determinanti sono le modalità attuative con cui simili scelte trovano realizzazione, non possono tollerarsi iniziative al solo scopo pubblicitario;
  3. Non si può ignorare l'importanza dell'inglese: ha finito addirittura con l'influenzare la destinazione dei fondi europei, la scarsa preparazione dei deputati italiani nella conoscenza delle lingue straniere avrebbe loro impedito di partecipare efficacemente ai lavori a Strasburgo, ciò a differenza dei colleghi spagnoli, che perciò hanno portato a casa più risorse per il proprio Paese.

Si tratta di un dibattito di sicuro interesse, di cui si attendono le prossime puntate.

Andrea Falcone

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non trovo affatto che l'opinione di De Mauro sia di segno opposto a quella di Sabatini. Parlano di cose diverse. È la giornalista che vuole dare un tono di contraddittorio a qualcosa che non lo è. Quanto al III punto, De Mauro sbaglia in pieno. Gli spagnoli hanno avuto più fondi per altre ragioni: che li sanno usare e conoscono gli strumenti normativi, mentre in Italia c'è stato un grande spreco. Ma se fosse vero quello che dice De Mauro sarebbe gravissimo: significherebbe ipso facto che gli inglese e irlandesi sono avvantaggiati nell'attribuzione dei fondi strutturali A CAUSA dell'egemonia dell'inglese. Un'ingiustizia

Dott. Andrea Falcone ha detto...

Il mio resoconto si proponeva come sintesi dell'articolo riportato sul quotidiano. De Mauro afferma che la scarsa dimestichezza con le lingue sia stata la causa dell'esiguità dei fondi destinati all'Italia, non dubito che non sia stata la sola ragione.