venerdì 3 agosto 2007

Circolazione dei modelli giuridici. Tra diritto ed economia.

Un articolo a firma di Alessandro Meloncelli, apparso su “Il Sole 24 ore” di lunedì 30 luglio 2007, n. 207, pag. 37 mette in evidenza alcune modifiche intervenute nell’ordinamento cinese. Si scopre che le distanze dagli ordinamenti occidentali si stanno erodendo, anche in tema di proprietà privata. Del resto era già stato segnalato un certo interesse del mondo accademico cinese verso gli studi romanistici. Ne risulta sollecitata la riflessione sui rapporti tra diritto ed economia, non trascurabili per il traduttore come per il tecnico. Parole come intellectual property e copyright paiono essere innalzate a costituire patrimonio giuridico comune di ordinamenti dalle radici e dai riferimenti culturali molto distanziati. Numerosi gli spunti di riflessione sulla globalizzazione del diritto.
Andrea Falcone
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Mercati emergenti. L’ordinamento interno stenta a tenere il passo del progresso commerciale. Pechino insegue il diritto. La proprietà privata accende una luce nel buio normativo.
Stimolanti e sorprendenti sono le scoperte che può fare il viaggiatore che raggiunge la Cina. Ma, specie se di formazione sensibilizzata agli aspetti giuridici ed economici, una in particolare è destinata a impressionare enormemente: la dissociazione tra lo sviluppo del sistema commerciale e lo sviluppo dell’ordinamento. Nel nostro contesto occidentale e industrializzato siamo abituati a operare in un sistema in cui qualsiasi iniziativa o attività si svolge secondo fasi regolamentate dal sistema normativo e quindi secondo uno sviluppo prevedibile e certo. Secondo l’orientamento di una certa tradizione giuridica che ha agitato recentemente il dibattito, è lecito pensare addirittura che determinati fenomeni economici possano sviluppare solo successivamente e conseguentemente all’impulso proveniente dalle sollecitazioni normative. In sostanza, la nostra esperienza vuole che vita economica e sistema normativo adeguato convivano e si evolvano parallelamente. In Cina a lungo non è stato così. In questa ultima fase sono state accelerate le riforme di istituti importantissimi in materia societaria e fiscale, ma è prevedibile che il sistema sarà a lungo sottoposto a una faticosa rincorsa dell’impetuoso sviluppo economico. L’esempio più impressionante ci è fornito da quanto avvenuto solo nel marzo scorso, in occasione della riunione plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il Parlamento di Pechino. Oltre al rilancio di una politica del “Go West”, della salvaguardia ambientale e del risparmio energetico, di una riforma fiscale che ha equiparato al 25 per cento la tassazione dei redditi delle imprese straniere a quella prevista per quelle nazionali, è stata introdotta nell’ordinamento cinese la proprietà privata. “La proprietà pubblica, collettiva e individuale sono protette dalla legge e nessuna entità o individuo possono violarla”, recita l’incipit della disposizione. Solo da oggi il cittadino ha il diritto di possedere beni mobili, come quote societarie e titoli quotati in borsa, o immobili (per la verità da tutto ciò è ancora escluso il contadino, per cui la proprietà della terra è ancora statale), materie prime, fattori produttivi, il diritto di detenere aziende, quello di iscrivere ipoteche e quello di ricevere eredità. Ciò che colpisce è lo sviluppo immobiliare di Shangai, stimato nel corso del 2006 pari a un piano di building ogni venti minuti, che la borsa stessa della città, abbia superato in valori capitalizzati quella della vicina Hong Kong, che l’impresa manifatturiera presente sia la più efficiente della storia dell’uomo, che tutto questo si sia sviluppato sino ad oggi senza che l’ordinamento prevedesse l’istituto della proprietà privata. Ciò è potuto accadere, evidentemente, grazie a un sistema che ha operato in zone grigie dell’ordinamento, attraverso interposizioni fittizie, corruzione e tolleranze. In realtà nella Costituzione cinese il principio astratto della proprietà privata era stato introdotto già nel 2004. Ciò che è avvenuto nel marzo scorso è stata l’introduzione nel codice civile della proprietà privata tra i diritti inviolabili dell’individuo, equiparata alla proprietà pubblica. Il nuovo istituto avrà la sua efficacia solo attraverso l’introduzione di un regolamentato sistema di tutele. La dimostrazione della discrasia tra ordinamento giuridico e sistema commerciale ci è ulteriormente fornita dalle vicende della legge sulla tutela della proprietà intellettuale e del copyright. Le disposizioni, perfettamente allineate a quelle previste in qualsiasi altro Paese occidentale, prevedono che la registrazione avvenga presso il Trademark Office di Pechino a un costo di circa 3.000 euro e un lasso di tempo necessario di circa un anno e mezzo, oppure direttamente in Italia, richiedendo all’ufficio designato dalla Convenzione di Madrid che la Cina venga inserita nella lista di Paesi in cui il proprio marchio è protetto. Tale procedura è stata resa possibile solo in conseguenza degli impegni legati alla adesione della Cina al Wto. Ancora una volta, quindi, la tutela della proprietà intellettuale ha paradossalmente preceduto quella della proprietà privata.
Alessandro Meloncelli

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