martedì 10 luglio 2007

Linguistica Giuridica_L.Fiorito

Traduzione e tradizione giuridica:il Legal English dalla Common Law alla Civil Law a cura di Lorenzo Fiorito
Abstract: The article discusses some theoretical and practical aspects of legal translation, and the question is examined whether differences between common law and civil law systems can be overcome in translation, with English playing the role of «mediation language». Introduzione Nel volume monografico di “Ars interpretandi” pubblicato nel 2000 e intitolato Traduzione e diritto, R. Sacco rileva che "nei prossimi vent'anni i problemi della traduzione diverranno certamente il capitolo più promettente della comparazione giuridica, in grado di aprire vie d'importanza primordiale per l'epistemologia giuridica e la riforme della lingua giuridica". Ciò discende non solo dall’interesse dottrinale per i sistemi giuridici diversi da quello di appartenenza, a cui consegue la necessità di rendere nella propria lingua termini ed istituti appartenenti all'ordinamento giuridico straniero, ma anche da altre ragioni di ordine più operativo: da un lato, la globalizzazione ha determinato la comparsa e la circolazione di norme e documenti giuridici, come ad esempio i contratti, che regolano i rapporti tra soggetti di paesi diversi: da qui il problema della lingua (o delle lingue) in cui redigere i testi ed i relativi problemi di traduzione; dall’altro, la presenza di immigrati nei paesi occidentali impone la ricezione all'interno del nostro ordinamento di norme giuridiche straniere. Iura aliena novit curia, come è riaffermato dalla legge 218/95, che riforma il diritto internazionale privato italiano. Il problema della traduzione giuridica Ogni sistema legislativo si situa in un quadro sociale e politico complesso che risponde alla storia, agli usi ed alle abitudini di un particolare gruppo etnico o nazione. Questa struttura complessa è raramente identica da un paese ad un altro, anche se le origini dei rispettivi sistemi legislativi possono avere punti in comune. La diversità dei sistemi legislativi rende la ricerca nel campo della terminologia legale molto difficile perché un concetto particolare in un sistema legislativo può non avere corrispondenti in altri sistemi. A volte, accade che un concetto particolare può esistere in due sistemi differenti e riferirsi a realtà differenti. Porsi il problema della interpretazione e quindi della traducibilità dei termini legali da una lingua all'altra implica sia uno studio comparativo (sebbene limitato al campo specialistico oggetto del discorso) sui sistemi legislativi differenti che una consapevolezza dei problemi generati o dall'assenza degli equivalenti o, dall'altro lato, dalla perfetta equivalenza dei termini ma con sfumature giuridiche assolutamente peculiari. A questo riguardo la comparazione giuridica ha esaminato alcuni aspetti particolari relativi all'utilizzo di nozioni astratte come, ad esempio, «contratto», contract, contrat, «proprietà», property, propriété, «fatto illecito», tort, fait illicite, e simili: ognuna di queste espressioni è caratterizzata nei dettagli da una differente disciplina giuridica in base al sistema di cui fa parte, e perciò stesso esprime una nozione giuridica peculiare. Alcuni aspetti teorici Mentre il De Saussure asseriva «l'impossibilità per un segno di una lingua di occupare, nei sistemi dei segni che occupa nella sua lingua, il segno con il quale ci si sforza di tradurlo»,1 sia per Hjelmslev che per Sapir e Whorf vi è una forte correlazione tra la lingua e il suo ambiente; l'intraducibilità dal punto di vista strettamente linguistico sarebbe quindi nella natura stessa delle cose. San Gerolamo non ha alcun dubbio sul modo in cui procedere, come egli stesso spiega a più riprese nelle prefazioni alle sue traduzioni. In una lettera indirizzata a Pammachio, scritta nel 395 d.C., egli cita come maestro Cicerone, il quale aveva dichiarato che il miglior modo di tradurre consiste nel riproporre «le stesse frasi e le loro figure di parole e di idee con vocaboli consoni ai nostri usi. Non ho giudicato necessario rendere parola per parola, ma di tutte le parole ho conservato il valore e l'espressività» Tuttavia, la traducibilità giuridica presenta delle regole peculiari; secondo Cooray «problems arise in legal translations which are not present in the case of translations in other subjects» Spesso non vi è una corrispondenza tra i concetti, le categorie e gli istituti nei vari sistemi giuridici, per cui tradurre fedelmente un atto, una norma giuridica o una sentenza è molto difficile. R. Sacco avverte che: «le vere difficoltà di traduzione sono dovute (...) al fatto che il rapporto tra parola e concetto non è lo stesso in tutte le lingue giuridiche» Ogni traduzione è interpretazione del testo. Questo atto interpretativo è inteso come attribuzione di significato ad un simbolo. La traduzione-interpretazione del testo parte, quindi, dal significato da assegnare ai termini che compongono il discorso giuridico per giungere alla definizione di esso con termini giuridicamente appropriati nella lingua d'arrivo. Sotto questo aspetto Sacco sottolinea come "al momento di tradurre, l'operatore sarà in presenza di due realtà: da un canto il testo, con i suoi vocaboli e la sua sintassi; dall'altro canto il senso da assegnare al testo, ossia la norma giuridica".I giuscomparatisti lo sanno bene e, quando operano con le categorie di un sistema di dritto straniero, lungi dal cercare un equivalente lessicale preferiscono riportare il termine straniero (esempio trust, equity, trespass, consideration), spiegandone il significato con un giro di parole. Il dilemma del traduttore In linea generale, il traduttore di testi di natura giuridica si trova di fronte a una di queste quattro situazioni: Nei sistemi giuridici presi i considerazione esiste lo stesso istituto, che è regolamentato allo stesso modo. Il termine della lingua di arrivo rappresenta il medesimo concetto del termine della lingua di partenza. In questi casi il traduttore deve solo sostituire al termine nella lingua di partenza il termine nella lingua di arrivo, anche se, in realtà, una perfetta equivalenza dal punto di vista linguistico e giuridico è estremamente rara. Ad esempio le norme di sistemi giuridici integrati tra loro, come gli atti comunitari emanati nelle lingue ufficiali dell'Unione Europea, per definizione, hanno un'unica interpretazione e devono dare luogo ad una sola disciplina giuridica. I nomi degli istituti sono uguali, o almeno equivalenti, a livello lessicale, ma la normativa sottostante è diversa. In questi casi, sotto l'aspetto semantico la traduzione letterale è scorretta e si deve evitare. In questo senso indicano due concetti differenti droit commun e common law, personal property e «proprietà personale». In questi casi è necessario che il traduttore faccia capire che il testo di cui si tratta è il prodotto di una traduzione, e che specifichi da quale lingua e sistema giuridico egli abbia tradotto. è corretto ad esempio tradurre l'inglese contract con «contratto», a patto che sia chiaro per il destinatario della traduzione che il vocabolo italiano «contratto» riceve nella specie l'accezione inglese di contract, tant'è che nei rapporti commerciali internazionali regolati da contratti redatti in più lingue, è prassi comune decidere in via preventiva quale sarà la legge applicabile in caso di controversie: questa pratica permette di assegnare un contenuto giuridico preciso a parole che altrimenti assumerebbero sfumature diverse secondo l'ordinamento in cui sono inserite. Un istituto ha sia nomi differenti a livello lessicale che diversa disciplina normativa. Può accadere che alla traduzione letterale del termine non corrisponda nessun concetto giuridico familiare al sistema della lingua di arrivo, e tuttavia il nucleo semantico è facilmente individuabile: così la provenienza non interna al sistema appare evidente ed evita pericolosi errori, non provocando ambiguità con termini ed istituti familiari. Non suscita nessun tipo di problema rendere lo statunitense District Court con «Corte distrettuale», il francesi Ministre de la Justice con l'inglese Minister of Justice, Conseil Constitution con «Consiglio Costituzionale», in quanto nei sistemi di arrivo non vi è nessun organo o istituzione che abbia la stessa denominazione. Un istituto esiste in un sistema ma non nell'altro. In questo caso una traduzione letterale appare priva di senso: così Public Ministry non traduce correttamente «Pubblico Ministero»; sempre mentre per Guardasigilli» si avrebbe in inglese un inverosimile Sealwatcher. Sia nel caso 3 che nel caso 4, i rischi di un fraintendimento sono limitati. Non crea problemi tradurre i francesi Tribunaux de commerce con «Tribunali di commercio», poiché questa espressione non ha riferimenti nel sistema italiano. Ma nell'ipotesi in cui si confrontino due sistemi giuridici che utilizzano la medesima lingua ufficiale (si pensi ai paesi anglofoni o dell'America latina), si dovrà spesso operare traduzioni intralinguistiche. Infatti, nel caso di più stati che usano la medesima lingua le differenze tra sistemi impongono comunque la necessità di tradurre: il termine «possesso» utilizzato nella Svizzera Italiana ha un valore diverso dallo stesso termine utilizzato in Italia, ed una traduzione esatta tra queste due lingue dovrà rendere chiaro che, malgrado l'equivalenza lessicale, i due termini si riferiscono a due nozioni diverse. In questi casi non basta più parlare di linguaggio di partenza o di arrivo, ma di linguaggio del sistema di partenza o di arrivo, con tante lingue quanto i sistemi giuridici che utilizzano una lingua: non si parlerà di «italiano giuridico», perché ne esistono almeno due tipi: l'italiano usato in Italia e l'italiano usato in Svizzera. Dalla common law alla civil law Il diritto, attraverso i secoli, ha acquisito un suo proprio vocabolario tecnico-specialistico, come è evidente nell'inglese, che sempre più si pone come lingua di mediazione tra diversi sistemi linguistici e giuridici. Ciò sebbene sia da sottolineare la forte interdipendenza che sussiste tra la lingua inglese ed il sistema giuridico basato sulla common law. L'inglese e la common law sono due aspetti inseparabili della medesima cultura: nessun sistema di common law si è mai sviluppato in totale indipendenza dalla lingua inglese. Gli ordinamenti di civil law sono invece meno legati alla lingua di riferimento; questi sistemi, derivano dai Codici napoleonici in francese, e dalla dottrina giuridica tedesca, si sono diffusi in tutta l'Europa continentale e sono stati presi come modello, oltre che nei sistemi che utilizzano una lingua neolatina come Italia ed i paesi dell'America Latina, anche in Paesi di tradizione giuridica e linguistica molto lontani tra loro, come ad esempio Grecia, Turchia, Russia e Giappone. Nel suo testo sull'inglese giuridico, Melinkoff6 riporta un elenco di nove motivi per cui il linguaggio del diritto differisce dal linguaggio ordinario, e sottolinea le difficoltà che il traduttore di testi giuridici trova dovendosi confrontare con differenti tradizioni giuridiche, come i sistemi di common law e di civil law. Mentra la common law si basa sulle soluzioni date ai casi particolari, procedendo induttivamente, e non, come la civil law, per applicazioni specifiche di norme astratte. Una differenza importante tra i due sistemi è quella per cui i giuristi di common law riconoscono che nella stessa cultura giuridica possono convivere più risposte accettabili, mentre i giuristi di civil law, anche ammettendo che ci possono essere contrasti fra le diverse risposte ad un problema giuridico, si deve pervenire alla conclusione che una sola risposta è giusta, e che le altre sono sbagliate. Un caso evidente di difficile comparabilità è l'espressione francese personne morale» che corrisponde all'italiano «persona giuridica» in contrapposizione alla «persona fisica»: traslata letteralmente sia in italiano che in inglese, essa acquista immediatamente un connotato riferito alla moralità, e dunque etico-religioso, che invece nell'originale non ha. Per evitare ciò, l'inglese ha trovato un equivalente in legal person, che se pure non ha avuto grandissima fortuna, è l'espressione usata nei testi bilingui francese -inglese in uso in Canada. Altro caso esemplare è il problema della traduzione del termine francese contrat (o del termine italiano «contratto») con la parola inglese contract; non tutti i contrats del Codice Civile francese (o i contratti del Codice Civile italiano) sono traducibili con il termine inglese contract. I vocaboli, non sono fra loro interscambiabili Nei sistemi di common law non si riscontra una precisa ed univoca definizione (per così dire, legislativa, come propongono i sistemi di civil law) degli istituti che vengono ricondotti in ambito continentale al contratto o, viceversa, di quegli istituti che possono venire ricompresi nel sostantivo contract. L'inglese come lingua internazionale del diritto L'uso di una lingua veicolare internazionale, come è stato il latino fino al '700, e come ora è l'inglese, nonostante le sue diverse varietà, costituisce un formidabile strumento di uniformazione del lessico, in quanto opera da lingua franca tra gli idiomi nazionali. Nel caso del diritto la più diffusa conoscenza della lingua inglese anche tra i giuristi opera da elemento uniformatore. Una branca del diritto che ha fatto fare all'inglese un passo avanti nello sviluppare un ruolo di lingua di mediazione è il diritto internazionale. Inizialmente il linguaggio del diritto internazionale era il linguaggio della diplomazia, vale a dire il francese. Fu, in effetti, solamente con il Trattato di Versailles nel 1919 che i testi francesi e inglesi del trattato furono considerati entrambi «autentici». In tempi più recenti, la Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, entrata in vigore nel 1980, stabilisce il principio dell'eguale autenticità dei trattati redatti in lingue diverse e costituisce un tentativo di risolvere i gravi problemi cui spesso dà luogo l'interpretazione dei questi trattati. In questo contesto, sicuramente bisogna registrare l'indiscusso affermarsi dell'inglese (in particolare, quella particolare varietà di inglese chiamata «inglese internazionale»), che già è preminente come lingua di vari settori come l'economia, il commercio internazionale, la tecnologia, e anche come lingua generale della comunicazione internazionale: nel 2003 la DG Traduzione dell'Unione Europea (che ancora sui chiamava Servizi di Traduzione) ha tradotto 1.416.817 pagine; il 58,9% dei testi originali erano redatti in inglese.7 Molti dei documenti prodotti dalla Commissione devono essere resi pubblici contemporaneamente in tutte le lingue ufficiali, devono apparire identici e - soprattutto - devono avere lo stesso significato. Ciò ha posto in primo piano i problemi di armonizzazione dei testi giuridici comunitari. E'un argomento di grande interesse, non tanto e non solo linguistico, che è stato esaminato con grande l'attenzione dalla dottrina giuridica: l'inglese, perfezionato dagli studiosi del diritto al fine di immettervi le nozioni di civil law e di creare termini neutri che non facciano esplicito riferimento alle definizioni elaborate dalla giurisprudenza anglosassone, sta diventando la lingua comune dei giuristi europei e mondiali, e standard di riferimento per le traduzioni giuridiche, perché ha quelle caratteristiche di internazionalità ed universalità che possono renderlo lingua neutra, libera da connotazioni particolari. 1 G. Snow, J. Vanderlinden, Francais juridique et science du droit, Universite de Moncton, testi presentati al II colloquio internazionale del centro internazionale del Coomn Law in francese, Bruylant, Bruxelles, 1995, pag.144 2 S. Girolamo, Lettera VII. 3 G. Snow, J. Vanderlinden, Francais juridique et science du droit, Universite de Moncton, testi presentati al II colloquio internazionale del centro internazionale del Coomn Law in francese, Bruylant, Bruxelles, 1995, pag.147 4 R. Sacco, La traduction juridique, un point de vue italien, 28 C. de D. , 1987, pag.850 estratto dalla Comunicazione presentata al XII Congresso dell'accademia internazionale di diritto comparato, agosto 1986, Sidney, Australia 5 D.De Leo, «Pitfalls in Legal Translation», in Translation Journal, April 1999. 6 Per una dettagliata analisi dell'inglese giuridico, non si può prescindere da Mellinkoff, D., The Language of the Law, Boston e Toronto, 1963. In particolare, per quanto riguada le caratteristiche stilistiche del linguaggio del diritto inglese, cfr. pagg. 24 e ss.7 Translating for a Multilingual Community, a cura della Direzione Generale della Traduzione della Commissione Europea, Maggio 2004. This article was originally published at Translation Journal Volume 9, No. 3 July 2005

5 commenti:

Anonimo ha detto...
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Dott. Andrea Falcone ha detto...

Interessante articolo. Apre una breccia nel mondo della traduzione giuridica e, a mezzo di essa, dello studio del diritto tout court, anch’esso partecipe – al pari dell’economia e talora proprio sotto la forte spinta propulsiva di essa – della globalizzazione in atto.
Curiosamente paradossale osservare l’abuso tipicamente italiano di termini attinti dall’inglese e vedere quale scrupolo il traduttore metta (o dovrebbe mettere) nel salvare la versione originale di una parola in un testo tradotto, piuttosto che optare per una sua sostituzione con termine equivalente. Fu, del resto, il grande Umberto Eco, tra gli altri, ad ammonire: tradurre è sempre un po’ tradire; occorre essere consapevoli che un trattato internazionale, al pari di un testo letterario, necessita di essere letto, compreso ed interpretato nella sua lingua originale.
Fenomeni visibili nelle facoltà giuridiche come l’introduzione dello studio obbligatorio di almeno una lingua dell’Unione diversa dalla propria lingua madre, l’arricchimento dei piani di studio con le discipline comparatistiche e del diritto dell’Unione Europea sono tutti indicatori di come i temi trattati nell’articolo non riguardino solo la cerchia iniziatica dei comparatisti per professione o degli studiosi di linguistica.
Credo che il passo successivo – da salutare con entusiasmo – possa essere quello di insegnare talune materie internazionalistiche o comparatistiche in lingua, come già si fa in talune realtà universitarie più avanzate.
È tempo che le lingue straniere, con tutto il patrimonio culturale e critico che esse evocano ed implicano, giungano a far parte dell’armamentario minimo di cui ciascun operatore del diritto è chiamato a disporre. Lo studio ovviamente risulterà più complesso, ma negare l’indispensabilità dello strumento vorrebbe dire mettere la testa sotto la sabbia: sarebbe una scelta forse consolatoria, certamente non la scelta giusta per affrontare una realtà vieppiù complessa, quale il diritto oggi è!
Andrea Falcone

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonimo ha detto...

good start