giovedì 26 luglio 2007

I tecnici del diritto e le sfide della contemporaneità.

Propongo di seguito l’intervento integrale dell’avvocato Franzo Grande Stevens pubblicato su “Il Sole 24 ore” di martedì 24 luglio 2007 – n.201, pag. 31. Un interessante quadro delle sfide che la contemporaneità impone all’avvocato, l’inglese è ovviamente parte integrante di quanto necessario per vincerle, anche secondo il noto tecnico del diritto di cui si riporta il contributo. Interessanti spunti sulla professione forense in Italia e negli altri Paesi economicamente avanzati. L’articolo si conclude con una argomentata perorazione a favore dei “peculiari” pregi dei professionisti nostrani, senza omettere la necessità di interventi sulla formazione degli stessi. Andrea Falcone.
INTERVENTO Oggi serve più preparazione Di Franzo Grande Stevens Un avvocato è, più degli altri, figlio del suo tempo, anzitutto consapevole che l’economia precorre il diritto. Ed essa è mutata profondamente: il nostro Codice Civile del ’42 considerava prevalente un’economia fondata sulla proprietà e gli altri diritti reali. La ricchezza era soprattutto quella della rendita fondiaria, urbana od agraria. Con la Costituzione del ’48 si adottò il sistema dell’economia di mercato: la ricchezza veniva dagli operatori economici ai quali si assicurava il diritto e il dovere di leale concorrenza. Successivamente, gli operatori economici – le imprese – assunsero dimensioni sempre più transazionali: venne il Trattato Cee, oggi Unione Europea, con regole uniformi per assicurare, fra l’altro, uguaglianza di diritti ai cittadini dei Paesi membri e l’attuazione del “libero mercato” che – non sembri un paradosso – tanto più è libero quanto più è regolato e vigilato. In questi ultimi anni il mutamento è giunto all’estremo: col mercato planetario sono cadute le barriere nel campo finanziario e della comunicazione. Si opera in qualsiasi parte del globo. Anche se manca – né vi può essere – un’Autorità sopranazionale che detti regole. Quali allora le conseguenze per un avvocato privatista, ma anche di altre branche (penale o amministrativa)? A me pare che i cambiamenti riguardino principalmente la preparazione tecnico-culturale dell’avvocato e la sua organizzazione di lavoro. È indispensabile ormai conoscere il diritto comparato e comunitario: non bastano più i nostri istituti nazionali. Bisogna conoscere anche gli altri sistemi giuridici e possedere nozioni interdisciplinari nei campi dell’economia e della finanza. E bisogna conoscere gli orientamenti giurisprudenziali almeno dei Paesi economicamente più importanti anche se diversi per mentalità, tradizione, cultura. Occorre inoltre conoscere una lingua veicolare che di questi tempi è l’inglese. Lingua con la quale i modelli giuridici corrispondenti a quelli economici circolano nel mondo. Insomma occorre un bagaglio tecnico e culturale oggi molto più ampio: indispensabile per consigliare ed assistere un cliente in un determinato rapporto internazionale, quale che sia il suo valore economico, o in un rapporto domestico: quando si tratti di operazione economico-finanziaria con caratteri peculiari nati, applicati e giudicati in altri Paesi. Quanto al dato organizzativo, oltre alla dotazione “informatica” credo non si possa fare a meno di lavorare in equipe. Oggi un operatore economico chiede all’avvocato un responso attendibile e rapido perché i tempi dei traffici sono sempre più accelerati ed egli non può perdere punti in favore di un suo concorrente. Per soddisfare queste esigenze occorrono quindi più avvocati abituati a lavorare insieme a livello differente di esperienza: la loro opera è inevitabilmente collettiva e, per lo più, di carattere stragiudiziale. Così sono organizzati gli studi legali dei Paesi ad economia avanzata che hanno propaggini anche in Italia con cui noi avvocati italiani inevitabilmente dobbiamo confrontarci. Tuttavia, noi avvocati italiani, abbiamo caratteristiche peculiari che ci consentono di offrire un “valore aggiunto”: quello che induce i grandi studi internazionali a fare ricorso a noi nei casi più difficili. Due, le nostre caratteristiche. Primo: un avvocato italiano, in genere, svolge anche lavoro “giudiziale”: la nostra vera “palestra” intellettuale, che ci costringe a studiare e ad aggiornarci, scrivere dialetticamente, superare un’obbiezione non prevista. Un avvocato (Fulvio Croce distingueva tra chi “è un avvocato e chi lo fa”) non si limita ad un lavoro di forbice o di “routine” ma è abituato a intravedere i pericoli e le eccezioni future; il suo è sempre un lavoro con caratteri di originalità. Secondo: un avvocato italiano in genere ha la dote della “fantasia”. L’esperienza ci ha insegnato che, più di una volta, in una situazione apparentemente senza soluzioni, un avvocato italiano supera con un’idea brillante un’impasse, scioglie un nodo ritenuto inestricabile. Sono osservazioni di un “pratico” che sottolinea la necessità di una formazione scolastica ben diversa dall’attuale. Il rischio è lo scisma foscoliano: “pratici che operano senza pensare e teorici che pensano senza operare”.

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